«Altri hanno criticato il mio linguaggio, che non avrebbe la solennità o, meglio, l’aridità di quello accademico. Temono che una pagina, se si legge senza sforzo, non possa essere espressione della verità. A sentir loro, per essere profondi bisogna essere oscuri. Venite qui, tutti voi che siete dotati di pungiglioni e corazzati di elitre; prendete le mie difese e testimoniate in mio favore. Raccontate in quale intimità vivo con voi, con quanta pazienza vi osservo, con quale scrupolo registro il vostro comportamento. La vostra testimonianza è unanime: sì, le mie pagine, non infarcite di vacue formule e saccenti elucubrazioni, sono la narrazione fedele dei fatti osservati, né più, né meno…».
«E poi, miei cari insetti – scrisse – se non riuscite a convincere queste brave persone perché non risultate abbastanza noiosi, sarò io a dir loro: “Voi sezionate l’animale e io lo studio vivo; voi ne fate un oggetto che ispira orrore e pietà, mentre io lo faccio amare; voi lavorate in laboratori dove si tortura e si squarta, io conduco le mie indagini sotto l’azzurro del cielo e al canto delle cicale; voi sottoponete la cella e il protoplasma ai reagenti, io studio l’istinto nelle sue espressioni più alte; voi scrutate la morte, io osservo la vita (…) scrivo anche, e soprattutto, per i giovani, ai quali vorrei tanto far amare questa storia naturale che voi invece fate odiare”»