Introduzione de “LO SCRITTORE NEL TEMPO. Friedrich Dürrenmatt e la poetica della responsabilità umana” di Giuseppe Panella

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di Giuseppe Panella

     La panne. Una storia ancora possibile (1956) di Friedrich Dürrenmatt è uno dei romanzi brevi più significativi e più corrosivi in una produzione letteraria che vuole, nello stesso tempo, ribellarsi sia alla credenza diffusa che vuole il romanzo ormai “defunto” sia all’altra convinzione, forse ancora più diffusa, che ne esclude le valenze ermeneutiche e conoscitive riguardo la società e la natura umana (1). Il romanzo, invece, per lo scrittore svizzero, è ancora uno strumento di indagine delle passioni e dei sentimenti umani proficuamente utilizzabile:

 

     «Esistono ancora storie possibili, storie degne di uno scrittore? Se non si vuole parlare di sé, generalizzare romanticamente o liricamente il proprio Io, se non si sente l’esigenza di parlare delle proprie speranze e sconfitte con sincera verosimiglianza, e del proprio modo di fare all’amore, come se la verosimiglianza desse a tutto questo un valore universale e non piuttosto clinico, o nel migliore dei casi psicologico – se manca il coraggio e si preferisce defilarsi con discrezione, difendere garbatamente la propria vita privata, procurarsi altro materiale da plasmare come fa uno scultore, lavorarci su, realizzarsi e tentare, come un tempo facevano i classici, di non farsi prendere subito dalla disperazione anche se è difficile negare la palese assurdità che ovunque si manifesta –, allora lo scrivere diventa un lavoro arduo e solitario, e anche insensato: non conta un ottimo voto in storia della letteratura (chi non ha avuto ottimi voti, quante abborracciature non sono già state premiate), sono più importanti le esigenze quotidiane. Anche questo è un dilemma, e la situazione del mercato è sfavorevole. Il mero divertimento l’offre la vita con il cinema serale, alla poesia provvede il giornale coi supplementi; in cambio d’un investimento maggiore, che da un punto di vista sociale è superiore a un franco, si chiedono profusioni d’animo, confessioni, verosimiglianza appunto, forniture di valori superiori, considerazioni morali, sentenze praticabili, asserzioni che avvalorino o accantonino, ora il cristianesimo, ora disperazioni in voga: letteratura, insomma». (2)

 

     Ma, allora, se si scartano, da un lato, tutti gli elementi autobiografici più corrivi (come i propri desideri sessuali o le proprie storie d’amore) e, dall’altro, si vuole evitare di fare da punto di riferimento esclusivamente culturale al proprio pubblico dandogli l’illusione che leggendo ciò che scriviamo acquisiranno competenza e conoscenza del mondo senza fare troppi sforzi, che cosa resta da fare? Il rischio è di trasformarsi in una sorta di Baedeker intellettuale sul mondo scrivendo di questioni generiche e non risolvibili (chi siamo? che facciamo? dove andiamo?) o in un surrogato di giornalismo meno fruibile e meno facilmente consumabile ma pur sempre legato a una logica del senso che non fuoriesce dalla piattezza e dalla insolubilità molesta del quotidiano come puro appiattimento sul reale. La scrittura, per Dürrenmatt, non è mai stato certamente questo ridursi a declamare sui massimi sistemi del mondo né ha significato ricadere a scrutare al livello dei minimali brandelli di storia che a ognuno (e, quindi, anche agli scrittori) tocca fatalmente di vivere e di trapassare.

 

     «Il destino ha abbandonato il palcoscenico su cui avviene la rappresentazione per spiare dalle quinte, fuori dal contesto del dramma, e alla ribalta tutto si riduce a incidenti, le malattie, le crisi. […] Non vi è più un dio che incomba, una giustizia, un fatto come nella Quinta Sinfonia, la minaccia viene dagli incidenti stradali, da dighe che crollano per difetti di costruzione, dallo scoppio di fabbriche di bombe atomiche causato dalla distruzione d’un addetto ai laboratori, dall’errata regolazione di incubatrici. La nostra strada passa per questo mondo di contrattempi, e sui bordi polverosi, accanto a cartelloni che pubblicizzano le scarpe Bally, le Studebaker, un gelato, e alle lapidi che ricordano le vittime degli incidenti, si colgono ancora alcune storie possibili: l’umanità che traspare da una faccia dozzinale, una disdetta che assume senza volere dimensioni universali, il palesarsi di giudizi e di giustizia, forse anche di pietà, capitata per caso, riflessa dal monocolo di un ubriaco». (2)

 

     Alcune storie sono ancora possibili, dunque: come quella di Alfredo Traps e della sua alquanto banale panne automobilistica. E del modo in cui viene a essere giudicato per un delitto che neppure sapeva di aver commesso perché non si sentiva affatto in colpa per averlo voluto portare a termine a tutti i costi. Il delitto di Traps è il frutto di una mente assolutamente criminale e, per questo, assolutamente innocente; la sua cattiveria è originaria (e originale) e, come tale, esente da sensi di colpa a meno che qualcuno non intervenga a fargli notare che ha compiuto un delitto, a farli emergere dalla nebbia di un passato neppure così tanto remoto. E il delitto Traps lo ha compiuto davvero divenendo l’amante della moglie troppo giovane del suo principale e poi facendo sapere anonimamente al suo capo che è cornuto, provocandone la morte per infarto. Glielo fanno notare i suoi squisiti commensali che lo hanno ospitato dopo che la panne gli ha impedito di tornare a casa (ma forse è lui che ha voluto così) processandolo come fanno con tutti gli ospiti che si trovano ad avere. Sono vecchi funzionari della Giustizia: magistrati, avvocati, pubblici ministeri. E così raccontando le vicende della propria vita, rivelando il mistero del suo successo economico, Traps si trova di fronte alla prova della sua colpevolezza e si autoinfligge la condanna a morte che gli era stata sanzionata per gioco (mentre nel radiodramma successivo ricavato dal racconto, In panne, il protagonista – che, invece, si era solo addormentato – una volta sveglio, riprende la sua vita di sempre). Per Dürrenmatt, quindi, come si vedrà meglio in seguito, siamo tutti colpevoli: la letteratura ne è soltanto la dimostrazione per via di paradosso.

 

Note

  

     1) La recentissima polemica avvenuta sulle colonne del prestigioso quotidiano americano “New York Times” e che ha visto il romanziere Premio Nobel per la Letteratura (!) Vidiadhar S. Naipaul sostenere la morte definitiva del romanzo nell’epoca attuale mentre Jay McInerney e Stephen King ne sostenevano l’attuale vigore e il valore sociale e morale è l’ultimo episodio di una querelle che dura ormai dalla metà del Novecento e che ha visto battersi all’ultimo sangue nell’arena nomi illustri come Edward M. Forster e Henry James (a favore della sopravvivenza del romanzo stesso, ovviamente).

2) Friedrich Dürrenmatt, , trad. it. di U. Gandini, Milano, Feltrinelli, 1988, pp. 370-371.

3) Friedrich Dürrenmatt, Racconti, cit., pp. 371-372

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[Giuseppe Panella, Lo scrittore nel tempo. Friedrich Dürrenmatt e la poetica della responsabilità umana, Solfanelli, Chieti, 2005, pp.96, € 7]

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Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.