IL TERZO SGUARDO n.12: Attraverso lo specchio del fantastico. Giovanni Agnoloni, “Nuova letteratura fantasy”

Il primo sguardo da gettare sul mondo è quello della poesia che coglie i particolari per definire il tutto o individua il tutto per comprenderne i particolari; il secondo sguardo è quello della scrittura in prosa (romanzi, saggi, racconti o diari non importa poi troppo purché avvolgano di parole la vita e la spieghino con dolcezza e dolore); il terzo sguardo, allora, sarà quello delle arti – la pittura e la scultura nella loro accezione tradizionale (ma non solo) così come (e soprattutto) il teatro e il cinema come forme espressive di una rappresentazione della realtà che conceda spazio alle sensazioni oltre che alle emozioni. Quindi: libri sull’arte e sulle arti in relazione alla tradizione critica e all’apprendistato che comportano, esperienze e analisi di oggetti artistici che comportano un modo “terzo” di vedere il mondo … (G.P.)

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di Giuseppe Panella

Attraverso lo specchio del fantastico. Giovanni Agnoloni, Nuova letteratura fantasy, Broni (Pavia), Eumeswil Edizioni, 2010*


Questo libro colma un vuoto e pone le basi per una nuova possibile ripartenza negli studi in questo settore provandosi a rispondere ad alcune domande sulla natura dei generi legati al fantastico che finora sono rimaste inesitate, scarsamente sviluppate sotto il profilo della teoria della letteratura rimaste pressoché senza risposta.

Se sul fantastico esistono dei testi entrati ormai nella tradizione degli studi di settore, primo fra tutti La Letteratura fantastica di Tzvetan Todorov, non si può dire altrettanto rispetto agli studi sul fantasy. Riguardo ad esso, infatti, il problema da affrontare, in primo luogo, riguarda il posto nel quale collocare e la dimensione effettiva raggiunta dal capolavoro di John Ronald Reuel Tolkien e soprattutto della sua epopea dedicata alla distruzione dell’Anello e alle avventure che vi conducono, alla battaglia tra il Bene e il Male e l’aspirazione a una Terra pacificata.

Il Signore degli Anelli rappresenta davvero un discrimine nella letteratura europea nel dopoguerra? E’ la domanda che Giovanni Agnoloni si pone fin dall’inizio del suo saggio e cerca di trovare una risposta a questo suo quesito, centrale nella prospettiva della sua ricerca, interrogando una serie di autori che, a suo avviso, possono confortare questo suo convincimento. A testimoniare a favore di Tolkien vengono, quindi, evocati Hermann Hesse, José Saramago, Paulo Coelho, Banana Yoshimoto, Joseph O’Connor, Manuel Vázquez Montalbán, Gabriel García Márquez, Cees Nooteboom, Jostein Gardner – tutti scrittori molto differenti tra di loro dal punto di vista della poetica e collocabili in prospettive geografiche e temporali molto diverse. Tutti questi autori hanno, tuttavia, secondo l’ipotesi ermeneutica di Giovanni Agnoloni un punto in comune: in essi la pura dimensione della descrizione realistica non basta a definirne l’angolo visuale, il punto di vista mediante il quale mettere in evidenza e far emergere il loro modo di vedere e di considerare il mondo e la vita. Il punto di partenza di Agnoloni, in realtà, resta sempre la poetica della creazione secondaria che caratterizza la produzione fantasy di Tolkien, in particolare un suo libro, Albero e foglia, in cui lo scrittore di Oxford evidenzia con il pathos e la forza espressiva consueta il suo modo di considerare la scrittura, la funzione della narrativa e il suo stesso modo di porsi di fronte alle necessità del suo lavoro letterario.

«Fantasy, fantascienza e favolistica parlano, in altre parole, di ciò che non esiste nel mondo che noi conosciamo. Però qui finiscono le somiglianze e iniziano le differenze: la fantascienza, infatti, nelle sue diverse varianti, ci parla di un mondo futuro e lontanamente probabile, dove la tecnologia si sarà sviluppata a tal punto che si potranno compiere viaggi nel cosmo perfino superando la velocità della luce, vedere robot con fattezze perfettamente umane, immaginare intelligenze aliene del tutto scisse da un supporto corporeo, percorrere dimensioni sintetiche basate su una Rete informatica spinta alle estreme conseguenze, e così via. La favolistica – a partire dagli archetipi greci e latini (Esopo e Fedro), fino ad arrivare ai moderni – da Charles Perrault ai fratelli Jacob e Wilhelm Grimm, da Hans Christian Andersen a Beatrix Potter –, in forme molto varie ci prospetta un mondo che ha per protagonisti principali animali dotati di intelletto, sentimenti e parola, al centro di vicende che potrebbero, nella nostra esperienza concreta, essere plausibilmente vissute da uomini. Insomma, in questi generi emergono con pari evidenza sia l’ impossibilità di vicende del tipo di quelle narrate – o perché si tratta di un futuro ancora troppo lontano, o perché è evidente l’assurdità del nucleo narrativo (l’animale che pensa e parla) –, sia il loro grado di parentela con la realtà in cui viviamo: in fondo, sia le storie fantascientifiche, sia quelle raccontate nelle favole avvengono nel nostro stesso universo fisico, ovvero quello della Terra, degli altri pianeti del sistema solare e delle altre costellazioni. La caratteristica che invece accomuna tutte le creazioni genuinamente fantasy è quella di essere ambientate in universi diversi dal nostro, ovvero in altre dimensioni. Il fantasy non riguarda né mondi probabili, né mondi assurdi, ma universi possibili» (pp.14-15).

A questa analisi di Agnoloni va affiancata la tipologia che si può ritrovare nella teorizzazione stessa di Tolkien e che vede in tre aspetti distinti e ben connessi tra di loro la configurazione umana (antropologica ed esistenziale) del fantasy: all’Evasione (Escape) da una realtà considerata ormai asfittica e incapace di dare soddisfazione a chi ci vive segue il necessario Ristoro (Recovery) che consente di tornare a rivedere il mondo stesso con occhi nuovi, più ingenui e meno oppressi dal peso del presente cui consegue una Consolazione (Consolation) che permette di provare una gioia profonda nel rapporto con le cose, la Natura e la vita, “una gioia – dirà Tolkien in Albero e foglia, un suo saggio contornato di favole medioevali e arcaiche pubblicato del 1964 – al di là delle mura del mondo, acuta come un dolore”.

Dove è possibile rintracciare questi momenti negli autori studiati e decostruiti da Agnoloni?

La ricerca contenuta nel volume non punta al confronto delle macrostrutture – in realtà, ben pochi degli autori studiati nel loro contesto tematico e stilistico hanno letto Tolkien e chi lo ha fatto, come Joseph O’Connor, lo considera un libro tra quelli che ha meno apprezzato come lezione di vita e di scrittura. Agnoloni, invece, punta alle micro-strutture, ai momenti in cui emergono o trionfano l’aspirazione a qualcosa di diverso dalla consueta solitudine esistenziale o la ricerca di una sospensione della quotidianità (che vale, in certa misura, la “sospensione della credulità” che contraddistingue l’intento enunciato da William Wordsworth nella sua Prefazione alle Lyrical Ballads scritta nel 1800 – il volume era già uscito nel 1798 ed era destinato ad essere il frutto più maturo della sua ”alleanza poetica” con Samuel Taylor Coleridge).

Così in Hermann Hesse e nel suo Siddharta del 1922, certamente il suo romanzo più noto (anche se forse non il migliore della sua fecondissima produzione letteraria), sarà il rapporto tra Natura e Pensiero a costituire il tramite per la possibile rigenerazione della realtà.

In José Saramago del quale vengono privilegiate tre opere narrative considerate esemplari – Memoriale del convento del 1982, Il Vangelo secondo Gesù Cristo del 1991 e Cecità del 1995 in cui il limite sempre sottile tra sogno e visione del reale viene sovente scavalcato in un’ottica di maggiore consapevolezza umana come quando Blimunda, la protagonista del Memoriale, capace di vedere attraverso la materia si innamora dell’ex-soldato monco Baltasar Mateus o Giuseppe, svegliatosi in un’alba misteriosamente in ritardo, sente qualcosa di misterioso che lo attraversa provocandogli l’eccitazione sessuale necessaria a fecondare Maria e concepire Gesù o al semaforo di una città che forse è Lisbona si ha il primo episodio di cecità epidemica.

Anche i desperados (è il titolo di un suo romanzo del 1993) delle opere di Joseph O’Connor sentono il bisogno di evadere da una realtà metropolitana bruciante e scandita da una triste e squallida ripetitività e di vedere che cosa ci sia sotto la superficie della loro esistenza.

Il viaggio, invece, contraddistingue l’universo di discorso dell’olandese Cees Nooteboom – autore nomade quanti altri mai pur nel deserto della contemporaneità postmoderna. Nel corso di queste sue narrazioni errabonde, lo scrittore consuma una sorta di epifania del percorso senza fine attraverso lo spazio e il tempo. Nella sua scelta di diventare un “controllore del reale” – come egli stesso si è definito – è insito l’intreccio imprescindibile fra il piano della realtà concreta e quello dell’immaginazione creativa il che comporta necessariamente la consapevolezza dell’illusorietà del tempo e della sua im-possibile linearità.

Anche in Gabriel Garcia Marquez, teorico del “realismo magico” e autore di un libro “assoluto” come Cent’anni di solitudine, il nodo da sciogliere è quello tra Natura e Cultura, tra il persistere di sequenze di epoche assai lunghe e non sottoposte al ritmo del cambiamento e il taglio di eventi straordinari e radicali che ne decidono il sovvertimento in breve tempo. In Garcia Marquez, il percorso nella foresta equatoriale e nei suoi luoghi simbolici porta all’esplosione di momenti epifanici  di ampio respiro che consegnano al lettore l’idea di un rapporto nuovo tra uomo e mondo (ad esempio, la ferrovia che attraversa  le piantagioni di banani in La siesta del martedì, un racconto contenuto in Nessuno scrive al colonnello del 1961).

Nel brasiliano Paulo Coelho, invece, l’idea di un “linguaggio” comune “del mondo” si fa esplorazione delle pieghe più intime della soggettività all’interno delle quali trovare il significato di una vita che sembra avere perso ogni senso profondo, ogni implicita capacità di trasformarsi in avventura. Nel misticismo di Coelho (a mio avviso un po’ confuso e basato su una dimensione esclusivamente personalistica), l’idea del percorso personale da compiere si rovescia in avventurosa ricerca di un’identità che la società in cui si vive darebbe già per scontata.

Ma dove l’idea-chiave del libro di Agnoloni si trova enunciata in maniera cristallina è nella disamina dei romanzi apparentemente “polizieschi” di Manuel Vázquez Montalbán – in alcuni di essi (La Rosa di Alessandria del 1984, La solitudine del manager del 1977 o I mari del Sud del 1979), infatti, l’idea di una sospensione necessaria dal destino quotidiano del vivere si fanno volontà di fuga dalle dimensioni troppo asfittiche che condizionano la vita di personaggi apparentemente insospettabili. Nella storia dello speculatore edilizio Stuart Pedrell, fuggito di casa e poi trovato morto in un vicolo delle Ramblas a Barcellona, si annida un mistero che non ha soltanto a che vedere con la natura del delitto ma con le profondità del cuore umano.

Anche nella ricerca della saggezza che contraddistingue alcune delle opere più note dello scrittore norvegese Jostein Gaarder (ed è emblematica fra tutte il Bildungsroman filosofico Il mondo di Sofia), l’idea di fondo è quella di una con-ricerca tra mente e spirito che conducono a una forma di conoscenza basata su intuizioni che producono consapevolezza e acquisizione di vivere in una dimensione totale, eppure separata rispetto alla comune necessità di confrontarsi con la realtà.

In Banana Yoshimoto, invece, le intersezioni continue tra la realtà e l’immaginazione e tra la dimensione naturale con quella più misteriosamente soprannaturale conducono a un’intensificarsi di sensazioni di distacco dal reale che, però, preludono a una maggiore acutezza nella comprensione di essi. Il mistero della vita si rovescia in un’adesione più forte e rigogliosa ad essa.

Per concludere con le parole dello stesso Agnoloni:

«Una volta che si è penetrati nei misteri dell’energia naturale, infatti, niente può più destare una meraviglia (Evasione) che non diventi subito dopo accettazione (Ristoro) e generi quindi una profonda pace dello spirito, unita a un chiaro entusiasmo per la vita (Consolazione)» (p. 311).

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*Nuova letteratura fantasy riuscirà a giorni con Sottovoce, altro marchio (come Eumeswil) delle Arti Grafiche Oltrepo’ (http://www.editoriaindipendente.net).

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Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.