Il teatro “epico” di M. Pastore dalle “2rocche” di Capo Boeo a Gibellina? Una scelta e un’azione “TQ”

Il regista e attore Massimo Pastore con il pubblico a Marsala (sullo scoglio storico "2rocche" di Capo Boeo)

Il teatro “epico” di M. Pastore dalle “2rocche” di Capo Boeo a Gibellina? Una scelta e un’azione “TQ”

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di Antonino Contiliano

 

Ore 21, 30, 3 settembre 2011. È la serata della seconda (la prima è quella del 18 agosto 2011) edizione della rappresentazione teatrale (“Sindbad”) diretta da Massimo Pastore – attore e regista marsalese – e dal suo gruppo di giovani attori e studenti liceali. Siamo alle “2rocche” di Capo Boeo di Marsala. E Capo Boeo, in questa serata dell’apertura all’arte del teatro, ci offre un insolito scenario di bellezza marina e paesaggistica che, più che come presenza naturale e memoria, interagisce con/nelle scene come un altro personaggio teatrale.

Un luogo-personaggio naturale, e bene (“proprietà” di tutti) – pubblico e comune – come un complice diretto – per i significati diretti e indiretti cui rimanda la memoria sia degli attori che degli spettatori – e già “partner” nelle manifestazioni di letture poetiche organizzate, negli anni passati, da “Ong non-estinti poetry” di Marsala. Un sito che – nell’ottica di uno spazio valorizzato e, modificandone la funzione e l’uso (aprendolo alla comunicazione artistica-letteraria-poetica non profit) – così realizza appieno ciò che, da qualche mese a questa parte, ha teorizzato il Manifesto degli intellettuali “TQ” (Trenta/Quarantenni): “Dopo una lunga stagione di vuoto partecipativo e individualismo ideologico, nell’intento di creare nuove forme di comunità culturale e di condivisione dei saperi e delle pratiche politiche, TQ non si limita alla dimensione immateriale della comunicazione letteraria e della proposta teorica. TQ ritiene infatti teatro della propria azione tanto gli spazi pubblici di carattere istituzionale, quanto spazi che TQ stessa contribuisca a rendere pubblici indipendentemente dalle istituzioni: luoghi dismessi, sofferenti, mercificati, di cui sia possibile riappropriarsi, restituendoli all’uso comune e modificandone la funzione. […] nei quali il dialogo possa avvenire in modo orizzontale, in spazi non elitari né commerciali. […] una piazza, una scuola, un centro sociale occupato o un festival letterario. […]”

Lo spettacolo mette in scena, ancora una volta (ma arricchita e integrata) la tragedia del popolo migrante nel Mediterraneo delle guerre di spartizione delle risorse umane e creativo-lavorative, e degli speculatori/trafficanti di clandestini e corpi umani. I nuovi schiavi dell’economia globale, schiacciati e mandati al massacro dall’attuale politica antimigratoria e razzista della “Fortezza-Europa”, cui non è estranea l’Italia della destra e della “dittatura dell’ignoranza” al potere, e della stessa opposizione (elusiva e marginale) che si qualifica di sinistra.

Il gruppo teatrale e Antonino Contiliano

Il testo “letterario”, cui la bravura di Pastore attinge liberamente, e liberamente interpreta con la sua giovane compagnia teatrale (altrettanto motivata ed espressivamente se-ducente), è l’opera di Erri De Luca (L’ultimo viaggio di Sindbad). Ma, anche i ragazzi, in questa seconda riedizione del lavoro teatralizzato, sono stati all’altezza delle attese. E così gli attori (Francesco Torre, Rocco Raimondo, Mariangela Isaia, Maria Rita Drago, Giovanni Lamia, Delia Riggirello, Flavio Parrinello, Diego Pulizzi, Sergio Di Paola, Bruno Prestigio, Giorgio (Chitarra), Kairi (Tabla), Rabei  (Tabla), Boubakar (Tabla) hanno dato prova di una gestualità simbolica, vocalica e dinamico-corporea (unitamente a quella mimetico-sonora del trio musicale) molto curata in termini dell’aisthesis e dell’immagine comunicativa. Gli applausi, gli evviva e gli incoraggiamenti del pubblico (alla fine dello spettacolo) sono la testimonianza più diretta e disinteressata dell’apprezzamento e del riconoscimento che la cura e la capacità mostrate hanno ricevuto.

Sul palco, il suo piano e il suo sfondo (appena illuminato dai due fari e da un po’ di candele sparse per gli anfratti e su due tripodi di legno arrangiati alla meglio), c’è poi un’altra maschera che non va dimenticata: è lo stesso scoglio “2rocche”. L’altro protagonista scenico che, con la sua roccia scavata, bucata, calpestata – alle spalle le isole Egadi e (quella sera) tre barche allegorizzanti migrazioni e pescatori di fauna marina e umana –, si configura/va come l’ulteriore supplemento artistico lievitante lo spettacolo teatrale (quello messo in onda la sera del 3 settembre: il teatro “epico” di Massimo Pastore allestito sul destino del popolo clandestino e migrante).

Questa volta, però, il nostro attore e regista ha avuto (e messo a punto) una felice intuizione creativo-artistica: amalgama testi poetico-letterari diversi; e ne fa un’unica storia attorno al destino di vita, lavoro e morte dei dannati della terra, ribelli (per scelta) e “insurgenti” che mettono in gioco la loro stessa vita e gli affetti più cari e inalienabili.

Massimo Pastore ha colto e intrecciato, se così si può dire, un filo rosso; il filo rosso che si perpetua nel tempo (che lega i destini di questi soggetti diseredati e perseguitati): l’esclusione, l’oppressione, la condanna e l’eliminazione (una morte decretata per potere, tribunale, guerra, fame, sete). Un destino che, nelle epoche della storia, li inquadra come in un eterno ritorno dell’eguale e che, per il regista Pastore, diventa il movente storico unificante della rappresentazione teatrale lanciata alle “2rocche” di Capo Boeo. I “dannati”, e ribelli, che, in cerca di un migliore habitat etico-politico e sociale, in terra d’Occidente, negli itinerari obliqui dei loro viaggi della speranza e dell’erranza de-localizzata e spaesante, si scontrano (invece) con il potere politico e militare arrogante che li sopraffa e li ammazza, o ne devasta l’esser-ci, il diritto e il bisogno d’emancipazione e uguaglianza. Una contro-tendenza e violenta sopraffazione.

È l’oppressione della contro-tendenza conservatrice e reazionaria del/i potere/i dominante/i – che alza e consolida, come muri e ghetti, “le frontiere della democrazia” (interne ed esterne) –, e che non esita minimamente a crearsi pericolosi fantasmi di criminalità, contro cui i ribelli/insurgenti clandestini, migranti (e non) debbono contendere e, insieme, sfidare le altre violenze dei trafficanti di corpi umani e delle carrette del mare. Il surplus di devastazione illegale e immorale cioè che si aggiunge a quello legalizzato e prepotente dello stesso potere costituito (come insegna lo scontro “Antigone/Creonte” nell’omonima tragedia greca lasciataci da Sofocle, il poeta della profezia anzitempo, e in parte utilizzata/recitata e riattualizzata dal teatro “epico” di Massimo Pastore).

L’attore e regista Pastore, infatti, intrecciando testi poetici di altra provenienza e contestualità, durante la sua performance iniziale, impiega la breve allusione recitativa di Antigone quale collante per tessere l’unitarietà del filo rosso dell’eterno ritorno dell’eguale: lo scontro dei diseredati e ribelli cioè con il potere e la sua micidiale forza asimmetrica e preponderante, ovvero la sua potenza di morte, di distruzione materiale e devastazione umana, di cui è titolare. Una devastazione che, qui (allora come ora) si mostra infatti fino alla celebrazione dell’orrore dei cadaveri lasciati senza degna sepoltura (per monito e ludibrio) e/o all’esposizione cinica dei “sepolti vivi” nelle acque del mare, nei muri o nelle celle carcerarie.

Le vittime, gli abbandonati e i dimenticati nelle prigioni delle torture o nei fondali del mare “nostrum” (e alle sue “tempeste”), e a lui lasciati – perché domani, come ci racconta Walter Benjamin (“Il pescatore di perle”), le loro ossa si trasformino in perle e coralli – così trovano posto nella drammatizzazione teatrale della regia di Massimo Pastore e dell’azione dei suoi compagni di scena.

Ed è in quest’ottica conducente, e motivo unificante, che l’abilità del nostro regista e attore, nell’organizzazione evolutiva dello spettacolo, ha innestato: una voce introduttiva iniziale (quella di chi scrive) che, nel presentare l’iniziativa, fra gli altri riferimenti d’obbligo, ha enucleato la prefazione di Andrea Camilleri a gli “Invisibili. Minori migranti detenuti all’arrivo in Italia” (Amnesty International, EGA, 206); un prologo “recitato” in cui si avvicendano la voce singola di Mariangela Isaia (Isaia legge “Migrante”: un testo poetico, e già pubblicato, di chi scrive) e quella dello stesso Pastore (che si esibisce nella performance vocale di uno stralcio dall’“Antigone”; il brano ha per centro l’indignazione regale di Antigone – “Non veniva da Zeus la tua legge , né la giustizia che convive con gli dei sottoterra…quelle leggi che non solo oggi o ieri ma sempre, e nessuno sa quando apparvero, vivono… non potevo per nessuna volontà di forza umana pagare la colpa della loro trasgressione… e se morirò prima del tempo questo lo chiamo un guadagno… subire questa sorte per me è un dolore da nulla… ma se per mia colpa avessi lasciato insepolto quel morto nato da mia madre, sì allora che soffrirei, non dei tuoi castighi… e se pensi che abbia commesso questo per follia, forse è un folle che me l’ha suggerito” – che stigmatizza l’indegnità e il sacrilegio di Creonte, il potere che abbandona i cadaveri degli sconfitti e caduti alle oscenità dell’insepoltura);  lo svolgersi completo della storia L’ultimo viaggio di Sindbad; il finale (chiusura dello spettacolo) in cui ritorna la voce singola dello stesso Massimo con la poesia “Ode al mare” del poeta Ibraim Al Rubaish (il pakistano rinchiuso a Guantánamo – campo americano di prigionia –, e ivi torturato, ma non si sa per quali crimini commessi o responsabile di altre colpe, da speciali (addestrati) militari americani. Una nuova forma di “galateo” per i prigionieri che, ritenuti colpevoli (per sospetto) di crimini contro l’umanità, è stato editato in concomitanza del lancio della caccia alle streghe dopo l’11 settembre 2001 (l’attacco alle “torri gemelle).

Alla fine dello spettacolo, qualcuno che (nel quadro delle “Orestiadi” di Gibellina) si occupa del “festival” o delle “giornate del contemporaneo”, ha avvicinato Massimo Pastore proponendogli, per il mese di ottobre 2011, di riproporre lo stesso spettacolo nell’ambito delle manifestazioni culturali del “Baglio Di Stefano”. Aspettiamo conferma!

Antonino Contiliano

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Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.