I LIBRI DEGLI ALTRI n.89: Il Grande Gatsby o dei giovani meridionali. Gaetano Cappelli, “Romanzo irresistibile della mia vita vera raccontata fin quasi negli ultimi e più straordinari sviluppi”

Gaetano Cappelli, Romanzo irresistibile della mia vita vera raccontata fin quasi negli ultimi e più straordinari sviluppiIl Grande Gatsby o dei giovani meridionali. Gaetano Cappelli, Romanzo irresistibile della mia vita vera raccontata fin quasi negli ultimi e più straordinari sviluppi, Venezia, Marsilio, 2012

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di Giuseppe Panella

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Il Grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald è il libro di più di una generazione tra scrittori e cuorinfranti adolescenziali ma finora non era stato mai virato con il filtro di un’educazione sentimentale meridionale (tra le Puglie e Ravello, sulla costiera salernitana). E’ quello che succede a Giulio Guasso, aspirante nuovo Arturo Benedetti Michelangeli, poi pianista in un albergo di lusso in un grande albergo di Ravello, appunto, e, infine, grande scrittore che trova la sua apoteosi come “candidabile” al Premio Nobel mercé l’uso del tutto improprio di una carota da parte di una sadica e prepotente critica letteraria tedesca.

E’ questa, in poche parole, la line-story del romanzo di Gaetano Cappelli (scrittore dalla ormai vastissima e variegata produzione narrativa) di cui si discuterà brevemente qui di seguito.

Sarà bene dichiarare fin dal principio che il progetto generale del romanzo rispetta e si attesta, con poche differenze sostanziali, sulla “linea d’ombra” del movimento grottesco e a volte delirante che caratterizza la commedia di carattere tipica dei libri precedenti del suo autore, almeno quelli della fascia centrale della sua produzione e che si caratterizzano per la lunghezza dei loro titoli (come quelli di certi film di Pupi Avati – La mazurca del barone, della Santa e del fico fiorone, ad esempio – oppure altri forse più noti appartenenti alla migliore vena di Arcangela “Lina” Wertmüller, in particolare tra gi anni Sessanta e Settanta).

Romanzo irresistibile della mia vita vera raccontata fin quasi negli ultimi e più straordinari sviluppi è un racconto insostenibile e spaventosamente comico e divertente della vita di Giulietto Guasso, scrittore per amore di Elena Bulbo d’Ambra che gli ha dichiarato una volta, forse per tacitarne le pretese sessuali forse perché ci credeva veramente (la faccenda non è chiara del tutto né lo sarà mai), che avrebbe potuto amarlo se lui avesse scritto un romanzo. Il che – va detto – Guasso farà con buoni risultati per un po’, poi però con sempre minori risultati di cassetta e di critica fino a perdere gran parte della sua credibilità letteraria da cui si risolleverà economicamente grazie al matrimonio con una cantante New Age, Irmgard von Achim, per scivolare poi, dopo la fine della storia con la donna ingelositasi per colpa dell’interludio con la critica letteraria cui si accennava sopra, a una prospettiva di presentazioni e partecipazioni a pagamento a eventi letterari spesso di infimo livello, in luoghi orribili e deprimenti e con sistemazioni gastronomico-alberghiere pessime.

La descrizione di questo tipo di eventi – le presentazioni di libri dell’autore in oggetto cui partecipa molto spesso, anzi quasi sempre, un lemenosta (lettore meridionale nostalgico del bel tempo che fu e sostenitore del suo possibile ritorno come forma edenica privilegiata della vita) – sono tra gli episodi più originali del romanzo e meritano un breve cenno descrittivo.

Di solito, in queste occasioni, dopo un breve pistolotto di esordio dell’organizzatore, si susseguono almeno due lunghe, tronfie e noiosissime presentazioni dell’autore da parte di critici locali e poi, quando il pubblico è stato sufficientemente annoiato da essi, l’autore può brevemente parlare. Poi seguono le domande del pubblico tra cui il lemenosta che, dopo aver descritto le distruttive condizioni igieniche e lo stato di abbandono materiale e morale in cui era vissuto e prosperato prima di affermarsi come libero professionista, di solito in ambito legale, conclude invitando lo scrittore a partecipare alle iniziative estive che si svolgeranno nel paese di provenienza dell’intervenuto per rendersi conto personalmente della situazione.

Si tratta di pagine irresistibili in cui la vis comica di Cappelli si accoppia al suo indubbio talento satirico nei confronti della società letteraria italiana e i feroci colpi bassi che, all’interno di essa, i loro protagonisti si scambiano con violenza e ferocia inaudite, mascherandole, tuttavia, da ipocrite e mielate manifestazioni di affetto. E’ quello che fa Guasso quando convince Alberto, uno scrittore senza alcuna possibilità di emergere nel panorama letterario, a inviare i suoi testi narrativi senza nessun valore al suo eterno rivale Terna, spacciandolo per uomo di grande sensibilità umana che senz’altro leggerà quei racconti che egli, invece, non può revisionare perché troppo immerso nella stesura del suo nuovo romanzo.

Allo stesso modo, la storia del giovane Guasso a Roma, dove dovrebbe studiare Filosofia all’Università e si concede di partecipare a gruppi di lettura e di scrittura poetica, è altrettanto ricca di momenti comici notevoli. Richiesto di disfarsi di un numero esorbitante di pistole (ben quattro !)[1] che appartengono agli inquilini di una casa dove aveva abitato e convinto della necessità di gettarle nel laghetto dell’EUR, per difendersi da un pericoloso attacco di fascisti locali, finirà con l’esibirsi in uno sfoggio della P38 ritrovata in un nascondiglio del cesso che ricorda una celebre fotografia ormai divenuta emblema del Movimento del 1977, mettendo così in fuga gli estremisti di destra.

E, sul finale del libro, il rapporto privilegiato con un ricco partecipante alla scuola di scrittura messa su dall’ormai estenuato autore di tanti libri con scarso pubblico rischia di tramutarsi in una trappola mortale. Athos Patitucci, uomo ricchissimo e dal passato di mafioso tra i più spietati, gli chiederà di scrivere per lui un libro di cui gli detterà la trama e per cui pagherà ben duecentomila euro.

Guasso, rimpannucciatosi ben bene, scriverà il libro per il mafioso (si tratta per l’appunto di una vicenda ambientata nei meandri dei segreti di Cosa Nostra) che avrà pure un ottimo successo di vendite, ma, alla fine del percorso, laddove lo attende finalmente l’amata Elena Bulbo d’Ambra, lo aspetterà una sorpresa che lo spingerà a una scelta decisiva per il suo possibile futuro. Il suo rapporto con la donna amata gli ricorda quello di Charles Swann con Odette de Crécy nella prima parte di Alla ricerca del tempo perduto di Proust :

 

«Capirlo è come quando, leggendo da ragazzo la Recherche, rapito da quella scrittura luminosa ma ugualmente asfissiato dalla gelosia ossessiva di Charles Swann, dopo cinquecento fittissime pagine, ero arrivato al punto in cui Swann si rende finalmente conto che gli infiniti dubbi sulla fedeltà della donna che ama sono assolutamente fondati, scoprendo quello che in realtà tutti sanno, e cioè che Odette de Crécy è, in sintesi, una gran troia e, nonostante questo, la sposa. No, è troppo! m’ero detto, e avevo lasciato perdere il resto. Ma intanto adesso il cellulare squilla ed è Elena. Elena, la stessa che non ha più voluto vedermi sebbene le abbia confessato d’amarla da quell’unico bacio, trentacinque-lunghissimi-anni-fa, quella per cui sono divenuto scrittore, rovinandomi la vita, la stessa che stava facendomela perdere del tutto, la vita. Mi chiede di raggiungerla e so pure quanto sia peggio di Odette, che almeno non frequentava mafiosi sociopatici, ma non ho incertezze. Salgo in macchina e corro da lei. Questa voglio proprio saperlo, come va a finire. Si tratta della storia più favolosa del mondo: il romanzo irresistibile della mia vita vera»[2].

 

La personalità letteraria di Cappelli emerge tutta dalle pagine più brillanti e più riuscite del libro, inarcandosi in una ricerca linguistica che lo porta a spaziare tra riproduzione linguistica del dialetto lucano e esperimenti di devastazione dell’italiano in nome di una vena satirica indomabile e strapotente. La mimesi del lucano con accento finlandese di uno dei personaggi minori del romanzo, Sasà Sassi, è del tutto impedibile e resa con accenti di grande comicità.

Lo stesso desiderio di colpire comicamente l’epigastro del lettore (e forse in misura maggiore) connota la figura dello zio del personaggio, il carabiniere brigadiere Coronna Giacinto detto zi’ Sgiascì: adorato dalle zie di Giulio, punto di riferimento di tutta la famiglia, capace di acquistare a prezzi scontatissimi oggetti di consumo considerati fino ad allora inarrivabili, perfino una mitica televisione a colori!), seduttore incomparabile di donne nordiche caldissime a letto e capaci di concedersi in posizioni impensabili per il giovane Giulietto, sarà l’artefice dell’educazione sentimentale estiva di quest’ultimo e lo porterà a sfiorare gli abissi più forsennati di piacere del sesso quando intravedrà, per la prima volta, dopo essere stato condotto all’aeroporto a contemplare religiosamente uno dei primi modelli di jumbo jet, la figura ieratica e formosa di Elena Bulbo d’Ambra, il suo unico grande amore per quasi tutta la vita avvenire, il simbolo di una vita degna di essere vissuta. In questo episodio (suddiviso come fonti di ispirazione narrativa tra il Lamento di Portnoy di Philip Roth e La versione di Barney di Mordecai Richler) la sapienza linguistico-narrativa di Cappelli si concede momenti di abbandono lessical-descrittivo veramente notevole.

Certo la coda con la morte per mano di una terrorista che lo zio Giacinto aveva seguito perché invaghito della sua bellezza e non per ragioni investigativo-giudiziarie non rende forse merito alla potenza evocativa del personaggio ma la descrizione delle sue imprese amatorie e il suo linguaggio tra il verbale di polizia e il dialetto più evocativo sono tali da riscattarla.

E Guasso? Forse emulo dell’Arturo Bandini protagonista del grande ciclo narrativo di John Fante, forse versione più giovane e più “meridionale” delle difficoltà esistenziali e delle avventure picaresche di Herzog o di Augie March, personaggi centrali nel mondo dell’amato Saul Bellow, Giulietto è, in realtà, la versione ironica, disincantata e più sgangherata del Grande Gatsby.

Se il personaggio principe di Fitzgerald era diventato un uomo ricchissimo e una figura del bel mondo, non per niente organizzatore di grandi e sontuosissime feste nella sua villa di Long Island per amore della bella e irraggiungibile Daisy, Guasso vuole semplicemente vincere il Premio Nobel a costo di prendersi (emulo, ma non troppo, di Santuario di William Faulkner) una carota in una parte del suo corpo non destinato a quella funzione.

Si tratta di un Gatsby di noialtri ma pur sempre capace di compiere azioni dalla fosca grandezza e di mettersi sempre in situazioni più o meno disperate – e scusate se è poco.

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NOTE

 

[1] Non di una pistola ma in realtà di un vecchio fucile arrugginito chiede a Michele di sbarazzarsi l’amico fuggito e latitante in uno dei più belli (e sfortunati) romanzi di Natalia Ginzburg, Caro Michele (Milano, Mondadori, 1973). Si vede che i bagni delle case studentesche di quegli anni erano delle possibili imitazioni di armerie ben fornite… (io stesso sono stato testimone di un episodio simile in quel di Pisa nello stesso periodo ma certo si trattava di bottiglie Molotov e non di armi da fuoco…).

[2] G. CAPPELLI, Romanzo irresistibile della mia vita vera raccontata fin quasi negli ultimi e più straordinari sviluppi, Venezia, Marsilio, 2012, p. .

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I libri degli altri è il titolo di una raccolta di lettere scritte da Italo Calvino tra il 1947 e il 1980 e relative all’editing e alla pubblicazione di quei libri in catalogo presso la casa editrice Einaudi in quegli anni che furono curati da lui stesso. Si tratta di uno scambio epistolare e di un dialogo culturale che lo scrittore intraprese con un numero notevolmente alto di intellettuali e scrittori non solo italiani e che va al di là delle pure vicende editoriali dei loro libri. Per questo motivo, intitolare una nuova rubrica in questo modo non vuole essere un atto di presunzione quanto di umiltà – rappresenta la volontà di individuare e di mettere in evidenza gli aspetti di novità presenti nella narrativa italiana di questi ultimi anni in modo da cercare di comprenderne e di coglierne aspetti e figure trascurate e non sufficientemente considerate dalla critica ufficiale e da quella giornalistica corrente. Si tratta di un compito ambizioso che, però, vale forse la pena di intraprendere proprio in vista della necessità di valutare il futuro di un genere che, se non va “incoraggiato” troppo (per dirla con Alfonso Berardinelli), va sicuramente considerato elemento fondamentale per la fondazione di una nuova cultura letteraria… (G.P)

 

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Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.