I LIBRI DEGLI ALTRI n.71: La ricerca disperata della parola. Gabriele Lastrucci, “Bruciante fiore di vive”

Gabriele Lastrucci, Bruciante fiore di vivereLa ricerca disperata della parola. Gabriele Lastrucci, Bruciante fiore di vivere, Prato, Claudio Martini Editore, 2013

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di Giuseppe Panella

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Arricchito da una cospicua sezione di testi scritti a ridosso della lancinante esperienza rappresentata da La Rosa Murante e da Ora-Mai, redatti di getto nel 2012, Bruciante fiore di vivere può essere considerata come la summa dell’attuale fecondo periodo di scrittura di Gabriele Lastrucci (allo stesso modo era accaduto per Contro-verso del 2011, che pure raccoglieva tutta la produzione lirica dello scrittore realizzata fino a quel momento).

In Oltre: Luna-Park, la sezione più significativa della nuova stagione di Lastrucci, i temi topici e l’esplosione linguistica di La Rosa Murante acquistano ulteriore e più densa specificazione poetica e si trasformano in un tentativo di lettura di ciò che è riuscito ad andare oltre il muro della difficoltà di vivere (l’impossibilità, l’indecidibilità, l’angoscia e la gioia bruciante dell’esistenza) alla ricerca di una realtà che gli permetta di sbloccare una situazione di stallo quale era quella che si era prodotta con l’Ora-Mai che chiudeva l’insieme dei testi precedenti:

«Nervo: Oltre. Si cruna l’Universo / ad Albare, artiglio – / di Tenerezza, / l’esplosa Notte – / Indaco, mio / d’inquietudine / cuore. // Nerva d’Oltre l’Addio»[1].

 

L’amore e la tenerezza della Notte si mescolano alla dura e asciutta rievocazione del tormento che essa pro-duce: l’”artiglio” è quello dell’insonnia e dell’indifferenza, la “Notte–Indaco”, invece, ne afferma la natura di possibile e in-finita dolcezza e languida dolorosità.

La lingua di Lastrucci (lo sostiene lui stesso nella seconda bandella di copertina) è fatta di segni che si metamorfizzano e si rovesciano in un affannato inseguirsi di significanti che vogliono rendere ragione della produzione spontanea di senso poetico all’interno della sua ricerca di un nuovo linguaggio della poesia, oltre lo steccato della tradizione e dello stesso sperimentalismo[2].

Bruciante Fiore di Vivere rappresenta proprio questo tentativo, dolente e fiero e insistentemente acceso di gioia insieme, di raggrumare intorno al linguaggio libero e trasgressivo della scrittura poetica dei momenti di rottura della gabbia della insignificanza e della incapacità a rappresentare il reale che sembra insidiare dall’interno il mondo linguistico del quotidiano.

 

«Che cos’è la Poesia? La domanda non è, ma si dà. Scorre, trapassa violenta: spinoso fiore d’Addio. Non si manifesta risposta se non come analogia. Labbro Spaccato d’Oracolo»[3].

 

La Poesia in sé non esiste mai – è questa la conclusione, atterrita e orgogliosa insieme, del poeta Lastrucci. Essa non si dà ma si concede come fuga, come evasione, come rapido fluire e connettersi / s-connettersi di un significante che raramente si concede la pausa del significato ma cerca sempre, come un torrente in piena, di ritrovare la sua appagante e tracimante espansione al di là degli argini del noto, del conosciuto, del tranquillizzante, dell’effabile.

La Poesia trapassa e non è mai là ad attendere il poeta che è costretto, ogni volta, a rincorrerla, a ricercarne gli intenti riposti e più segreti, ad esplorarne la tattica di emergenza coinvolgente e, soprattutto, la modalità d’uso, il suo valore profetico.

Il “Labbro Spaccato d’Oracolo” è esattamente questo: la volontà di sondare il futuro con uno strumento che ha bisogno di essere separato dal suo valore d’uso per attingere direttamente alla dimensione autentica (ed enigmaticamente complessa) della creatività linguistica.

Sempre Lastrucci così si (auto-)commenta con una frase molto significativa riguardo le sue intenzioni di poeta:

 

«Cosa dire di Bruciante Fiore di Vivere, oggi, di quei sette stellari (lunari ?) testi scritti nel beato inferno di tre (folli, santi, persi) mesi di quest’anno? Nulla. Mai tanta bellezza era uscita dalla mia fragile, sanguinante penna. Eppure qualcosa della vita stessa è in loro, l’essenza del suo più bruciante Mistero. Come un violento chiodo d’estasi che mi trafigge la voce, un nudo fuoco di caos che spezza le vene, uno spietato morso d’amare. E’ quasi l’eterno, dico. Così è l’estremo annuncio in una di quelle lucenti prose, questa l’urgente profezia: Ora, follemente, sono »[4].

 

Ma quei testi non sono né solari né lunari (come si chiede il suo autore) ma rappresentano l’intersezione tra cielo e terra, tra l’amore e la “brama di vivere” e la necessità, l’ambizione di scriverla e di riprodurla per verba (come avrebbe detto il “padre” Dante).

E’ vero che si tratta di un compito “disperato” e che conduce sempre di fronte al muro spietato dell’incommensurabilità tra significante e significato, all’interrelazione impraticabile tra parole e cose, all’incertezza tra illusione e verità, tra il sogno ad occhi aperti e l’immersione nel mare grande e senza fine della ricerca di un possibile approdo al mondo “vero” e spietato di certezze ineluttabili che è costituito dalle occorrenze del desiderio.

Ma occorre verificare nel testo l’assunto vissuto nella scrittura dal poeta “folle” del desiderio di spendersi in essa e di ritrovarsi nella sua pur disperata proliferazione e dispersione:

 

«Testamento. Ti lascio il mio cuore: / che sia il più violento morso / di questo bruciante fiore / di vivere»[5].

 

Lastrucci non teme di usare la parola più abusata della traduzione poetica di ogni tempo ma lo fa con la consapevole e tremenda consapevolezza che non si tratta di trascinarlo languidamente nella sua più familiare accezione di deriva sentimentale ma di imporlo come experimentum crucis della messa in scena in presa diretta delle sue passioni e della sua vita interiore.

Un cuore che morde costituisce la sua stessa negazione in termini e rappresenta il rifiuto di ogni vieto sentimentalismo o di ogni proposta di facile risarcimento della sua fallimentarietà come forma espressiva. Lo stesso accade in un altro testo della raccolta:

 

«Mare–Dentro. Sono quel rosso traliccio d’elettricità. Ecco, appena: così questo nascente finire è mondo. L’intero clamore del tempo è una lama colma d’attesa. Il fatuo fiore del dolore dilaga follemente sul lampante riverbero della notte. Il mare che affiora dentro come un febbrile chiodo d’estasi. E tu: l’amore, che vieni così fuggente e tardivo a santificare di questo violento pianto, la vita»[6].

 

Il “rosso traliccio d’elettricità” dell’esistenza unifica amore e poesia e li riscatta entrambi dal dolore che li trascina in un percorso in-sensato e senza scampo. Il mare che trabocca e che riempie delle sue implacabili maree la vita interiore permette alla poesia di espandersi e di ritrovarsi nelle parole che sole possono compiutamente descriverla e connotarla.

Anche in questo caso la consistente natura poetica del reale si dà e non si cerca soltanto ma si accetta come un dato di fatto: in essa consiste e si manifesta come un “fiore” che brucia chi si prova a ritrovarla sulla propria strada, in un momento di allucinata verità, in un sogno di vibrante verità.

 

 

 


NOTE

[1] G. LASTRUCCI, Bruciante fiore di vivere, Prato, Claudio Martini Editore, 2013, p. 17. L’uso frequente di neologismi e di trasformazioni /inversioni di parole in verbi e di verbi in nuove espressioni verbali caratterizza questa nuova fase dell’opera di Lastrucci.

[2] “Segni- Lingua(ggio) – Luce. Ecco, Tutto, Sia. Qui, / Ora”.

[3] E’ una dichiarazione di poetica di Lastrucci contenuta sempre nella stessa e già citata seconda di copertina.

[4] La citazione appartiene sempre allo stesso lungo testo di auto-esplicazione da parte del poeta.

[5] G. LASTRUCCI, Bruciante fiore di vivere cit. , p. 44.

[6] G. LASTRUCCI, Bruciante fiore di vivere cit. , p. 40.

 

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I libri degli altri è il titolo di una raccolta di lettere scritte da Italo Calvino tra il 1947 e il 1980 e relative all’editing e alla pubblicazione di quei libri in catalogo presso la casa editrice Einaudi in quegli anni che furono curati da lui stesso. Si tratta di uno scambio epistolare e di un dialogo culturale che lo scrittore intraprese con un numero notevolmente alto di intellettuali e scrittori non solo italiani e che va al di là delle pure vicende editoriali dei loro libri. Per questo motivo, intitolare una nuova rubrica in questo modo non vuole essere un atto di presunzione quanto di umiltà – rappresenta la volontà di individuare e di mettere in evidenza gli aspetti di novità presenti nella narrativa italiana di questi ultimi anni in modo da cercare di comprenderne e di coglierne aspetti e figure trascurate e non sufficientemente considerate dalla critica ufficiale e da quella giornalistica corrente. Si tratta di un compito ambizioso che, però, vale forse la pena di intraprendere proprio in vista della necessità di valutare il futuro di un genere che, se non va “incoraggiato” troppo (per dirla con Alfonso Berardinelli), va sicuramente considerato elemento fondamentale per la fondazione di una nuova cultura letteraria… (G.P)

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Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.