In esso, lo scrittore delinea- attraverso la storia del dissolvimento e della degradazione di una famiglia- non soltanto l’impietosa radiografia della decadenza morale del ceto borghese, ma anche una lucida raffigurazione della crisi della coscienza intellettuale, prigioniera di un mondo corrotto e brutale, ma immodificabile.
Questa condizione di impotente dissociazione è emblematicamente espressa dal personaggio di Michele, diviso fra la disgustata ripulsa dell’ambiente cui appartiene e l’incapacità di sottrarsi all’ipocrisia, alla volgarità, al cinismo in esso imperanti, sospeso fra una rassegnata, apatica passività e uno sdegno rabbioso ma sterile.
A distanza di ottant’anni circa, vale ancora per la prosa de Gli indifferenti la lode del Borghese: «Qui la parola non spicca per conto suo nella frase; la frase, non molleggia le anche, si sente un respiro sano e continuo, quel pennellare ampio, deciso; qui è vera prosa».
f.s.