Emiliano Gucci, “L’ umanità”

Emiliano Gucci, L’umanità, Elliot, 2010, 157 p

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di Gabriele Lastrucci

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Vola alta, parola, cresci in profondità,

tocca Nadir e Zenit della tua significazione,

però non separarti da me,

ti prego,

sii Luce,

non disabitata trasparenza.

(Mario Luzi)

Non scriverti tra i Mondi,

Al margine della traccia di lacrime

Impara a vivere.

(Paul Celan)

Qual è l’Umanità di cui scrive Gucci in questo potente e necessario libro?

O, meglio, quali sono le plurali e dolorose umanità protagoniste di questo testo meravigliosamente straziante e neramente luminoso di cui l’autore toscano è portatore e, insieme, tragico e appassionato demiurgo-spettatore?

E, in fondo, chi siamo noi, smarriti cercatori di popolate e sanguinanti solitudini?

C’è un forte senso di fatalità che viene emanato da tutte le opere di Emiliano Gucci, un’estasi nera, che si conficca nella carne del lettore come un chiodo arrugginito che corrode inevitabilmente tutte le fatue certezze che possedeva: risvegliandolo.

Ne L’Umanità la sua lingua si scarnifica e affonda nella pagina quasi a mostrare lo scheletro sbalordito e incrudito di una storia randagia, d’asfalto, ruvida come un scoglio affilato: che rimanda furiosamente alle opere di Dostoevskij: dalle Memorie del sottosuolo a Povera gente a Delitto e Castigo.

Alcuni tratti del suo lavoro sono ricorrenti nelle varie opere come fossero dei saldi ancoramenti narrativi che gli permettono di non affogare nella superfluità del dettato: la morte, il vibrante senso di colpa (di natura tragica), l’incontro, appunto, fatale, dove si tenta una possibile catarsi e liberazione dei protagonisti e si lascia intravedere un tenue spiraglio di luce. Si tenta… poiché nei suoi libri, come nella vita, il passato finisce sempre per inquinare le cristalline onde del futuro e, insieme, della felicità sperata.

La vita è sogno diceva lapidariamente Calderon de la Barca. Ma i sogni dell’uomo, invece di far librare l’individuo in un bianchissimo Paradiso artificiale, sono più spesso un lugubre meccanismo depressivo e inquietante dove s’incontrano le ombre serpeggianti della propria esistenza: i lutti, i demoni interiori, i folli distacchi d’amore.

Nel romanzo di Gucci, i fantasmi che incontriamo hanno sembianze terribilmente e poeticamente umane. Il protagonista, lacerato da un tragico episodio che lo lega come un macigno al suo passato, è una figura profondamente viva e carnale. Attraverso le disperanti controversie lavorative (la fabbrica, la disintegrazione sistematica dell’individuo attraverso lo sporchissimo, disumano lavoro, la droga, l’immigrazione clandestina progettata per lo sfruttamento più bieco: dove un uomo può sparire come un verme schiacciato nella pressa) egli arriva a quella liberatoria saturazione che sola può scioglierlo da un nodo così enorme, devastante. Egli tenta di distruggere implacabilmente quel mondo e se stesso. Ma, come avviene nelle storie così tremendamente vere e profonde, anche l’annientamento non (o non sempre) è possibile percorrerlo fino alla sua più naturale conclusione. Per fortuna. C’è Valentina che lo trattiene in un salvifico miraggio di speranza e d’amore.

E, soprattutto, c’è Gianluca, il vero involontario e vitale eroe del libro. Proprio il responsabile occulto della tragedia consumata in un passato così violentemente presente, solo lui potrà svelare uno spiraglio di luce dove il protagonista verrà trascinato quasi con una sicura e fanciullesca forza d’amore.

Un improvviso e squarciante lampo di mistero è, ancora una volta (come avverrà poi nel successivo Voi due senza di me), fornito dalla presenza lucifera di un elemento mistico (una zingara-veggente, in questo caso) che contrasta mirabilmente con il nero incendiario di una storia giocata su precisi e potenti scenari realistico-esistenziali (e qui non può non venire in mente lo spettacolare viaggio mistico-magico di Margherita che sorvola una bellissima e lunare Mosca nel capolavoro di Bulgakov).

La lingua di Gucci, soprattutto in questo romanzo, è muscolosa e ferrea come un mantice: vera co-protagonista del libro. Il suo stile scabro e asciutto, ancorché febbrile, si configura come uno strumento perfetto per indagare gli oscuri meandri nel nostro animo. Le visioni collaterali (la finestra che mostra il materno omicidio del vicino di casa, il lago nebbioso che, come un magico nido, si staglia per l’incontro con Loredana e Valentina, la nera pioggia – sporca di dolore e di petrolio – che tutto bagna ma che nulla, disperatamente, lava) sono vere e proprie epifanie che illuminano un testo per altri aspetti maestosamente buio e desolato.

Allora L’Umanità non è un moderno romanzo sul nulla vagamente flaubertiano ma il contenitore lavico di una tragedia immane e imminente che si snoda attraverso le feroci parole-mondo dello scrittore fiorentino che più di ogni altro suo collega contemporaneo riesce a scavare a mani nude l’insondabile e bestiale fiume delle passioni umane.

Il suo occhio, la sua mano, insieme al suo universo letterario, non sono mai uno sparuto e distaccato spettatore che osserva l’incedere delle storie narrate con fredda matematicità. Egli, non solo partecipa con tutto se stesso al racconto che sta scrivendo: egli è inevitabilmente, fatalmente quel racconto. La fragilissima copertura e maschera narrativa che usa fa emergere, come un fiammante arcobaleno di dolore, la verità stessa del suo autore: Gucci non è soltanto nel libro come un deus ex machina che ordina e fa accadere le cose, ma è il libro stesso nelle sue pieghe più intime. Egli si mescola e si perde infinitamente nello stesso caos emotivo-scritturale che ha creato proprio perché nulla di quel doloroso caos è invenzione o astrazione: bensì ogni fibra di quel mondo tragico e bellissimo è uscita e ribolle come un immenso incendio dal suo cuore.

Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.