“Con le peggiori intenzioni” di Alessandro Piperno

di Francesco Sasso


Alessandro Piperno è un grande affabulatore senza sprazzi creativi. Egli ti afferra in un vortice di parole e ti fa ruotare come su di una giostra; altresì, dopo le prime cento pagine, speri che alla fine il balletto termini per entrare finalmente in una storia verosimile. Purtroppo, Con le Peggiori intenzioni è un racconto antiletterario. O meglio, dovrebbe essere la storia di più generazioni- i Sonnino, famiglia ebrea romana; ma la fantasia del lettore è costretta allo stato larvale, poiché il racconto non sollecita la sospensione della ragione né scava in oscure profondità dentro cui buttar l’occhio del pensiero. Alla fine, il ritmo del racconto è stancante e si finisce per non domandare più nulla alla storia.
A tal proposito mi viene in mente il pessimo gusto di un buon vino annacquato. In potenza, lo scrittore ha le capacità per scrivere un buon romanzo, ma sembrerebbe che egli manchi di “senso” narrativo per rendersi conto che dopo un’ottima esuberanza verbale è giunta l’ora di procedere nel racconto o di andare in profondità. Anzi, l’autore si crogiola al sole della dispersione concettuale, in superficie, e la pagina si piega su se stessa, appesantita da una dilatazione linguistica che alla lunga annoia.
Non vi racconteremo la fabula, inutile. Alla fine della lettura, nulla cambia, se non un accumulo di fatterelli.
In tutto questo, credo, la pecca principale risieda nei protagonisti. Ognuno di loro non è legato a nessuna costellazione, in nessuna plausibile dinamica di gruppo. Tutti i protagonisti hanno lo spessore sottile dell’ombra. Né chiari oscuri né tridimensionalità. Eppure lo scrittore si spreca nello sviscerare la psicologia dei suoi protagonisti. Niente, essi restano appiccicati alla pagina come figurine senz’anima.
La rete sfilacciata di rapporti alla quale appartiene ogni personaggio del romanzo si estende anche ai luoghi e agli oggetti. Sennonché, sia pure con grande fatica, riusciamo a terminare il libro.
Per concludere, vorrei evocare lo spettro di Svevo. Nella coscienza di Zeno il protagonista racconta nel minimo particolare ogni piega della psicologia del protagonista e la storia si dilata lentamente. Ma l’autoironia di Zeno alleggeriva la pagina e la rendeva fluida. Purtroppo, in nessuno dei Sonnino, tanto meno nella voce narrante, c’è quell’autoironia che riequilibri la visione univoca della storia, dando un margine ampio all’interpretazione dei fatti da parte del lettore, innescando tra quest’ultimo e i protagonisti una empatia/simpatia o, all’opposto, una robusta antipatia.
Un dubbio rimane: che lo scrittore abbia voluto prenderci tutti in giro? Nel senso che, conoscendo bene i limiti dell’opera, abbia deciso di accentuare i difetti per nasconderli? E contrabbandarli per provocazione?

f.s.

[Alessandro Piperno, Con le peggiori intenzioni, Mondadori, 2006, 304 p., € 9,00]

Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.