“Bhagavad-gita” o Canto del glorioso signore

Anni fa lessi il poemetto religioso-filosofico Bhagavad-gita o Canto del glorioso signore. Esso è tra i più antichi documenti letterari nella storia del pensiero indù.

Il testo fa parte del grande poema epico Mahabharata e rinnova la grandiosa poesia apparsa già negli inni dei Veda.

Le date di composizione del Bhagavad-gita proposte dagli studiosi oscillano tra il III e il II a.C.

Tutto pervaso da fervore religioso, il Bhagavad-gita predica l’unione totale, la bhakti, nell’Essere unico, dal nome mutevole e innumerevole, che Krishna, identificato con l’anima universale, incarna nel poema per spandere i suoi pensieri su Arjuna che l’ascolta prima di attaccare battaglia contro il re cieco Dhritarashtra.

Arjuna ha come guida del suo cocchio il dio Krishna; lui non vorrebbe combattere per timore di uccidere alcuni dèi suoi parenti nel campo opposto, ma Krishna lo esorta a combattere valorosamente, anche a rischio di uccidere i suoi parenti. L’anima in ognuno vive eternamente, dice Krishna; l’uomo quando muore è come se si spogliasse degli abiti vecchi per indossarne dei nuovi. Quando si uccide uno, non lo si uccide realmente ma lo si fa spogliare di un corpo per rivestirne un altro.

Perciò Arjuna in guerra deve compiere il suo dovere. Nascita e rinascita sono solo due fenomeni; l’anima sostanza rimane sempre. Per liberarsi dalle reincarnazioni e ottenere l’immortalità, bisogna avere la vera coscienza, cioè conoscere bene che in ogni uomo c’è un’anima, la quale è identica all’anima di ogni essere; e questa anima universale è identica al Brahaman supremo, il quale è Krishna stesso.

<<In ogni anima vivente, c’è, dice il dio, una particella di me, eterna… >>

Krishna dice di essere ogni cosa, il sole, la luna, le stelle, le acque ecc. Afferma di essere tra gli dèi Visnù, e lo stesso dio distruttore Siva, Agni. A lui solo bisogna offrire sacrifici.

La somma beatitudine o nirvana consiste nell’essere liberati dalle nascite, nello spogliarsi della propria personalità e unirsi, perdersi nella impersonalità dell’Essere supremo, Krishma.

Per ottenere il nirvana bisogna avere la vera conoscenza, che comporta l’estinzione di ogni desiderio, e a questo si giunge specialmente con l’offerta dei sacrifici, con le pratiche ascetiche.

Il  Bhagavad-gita predica anche la dottrina delle incarnazioni per il bene degli uomini.

Riassumendo, la dottrina del Bhagavad-gita è articolata attorno a questi principi: esiste un Essere supremo, creatore dell’universo; ogni creatura è particella di lui. Egli è un unico Dio, quantunque possa essere venerato sotto diversi nomi e culti differenti. L’uomo muore e rinasce continuamente a causa del suo egoismo e dei suoi vani desideri; soltanto liberandosi da questi, mediante la conoscenza dell’identità dell’anima individuale con l’anima universale e di questa con Dio, raggiunge il nirvana, nell’assorbimento completo nella personalità di Dio. Di tanto in tanto, quando ne sorge il bisogno, Dio si incarna nascendo e vivendo da uomo.

f.s.

Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.