“Come scriba che ha cessato di scrivere, egli è la figura suprema del nulla da cui procede la creazione e, insieme, la più implacabile rivendicazione di questo nulla come pura, assoluta potenza. Lo scrivano è diventato tavoletta per scrivere, non è ormai nient’altro che il suo foglio bianco. Non stupisce, quindi che egli dimori così ostinatamente nell’abisso della possibilità e non sembri avere la più piccola intenzione di uscirne. La nostra tradizione etica ha spesso cercato di aggirare la potenza riducendola nei termini della volontà e della necessità: non quello che puoi, ma quello che vuoi e devi è il suo tema dominante.” (G. Deleuze, G.Agamben, Bartleby. La formula della creazione, Quodlibet, Macerata 1999, p.60)
“Non è che egli non voglia copiare o che voglia non lasciare l’ufficio – soltanto preferirebbe non farlo. La formula, tanto puntigliosamente ripetuta, distrugge ogni possibilità di costruire un rapporto fra potere e volere, fra potentia assoluta e potentia ordinata. Essa è la formula della potenza”. (Ivi, p.61)
Invece l’interpretazione del filosofo Gilles Deleuze:
“Si osserva prima di tutto un certo manierismo, una certa solennità: prefer è usato raramente in questo senso, e né il principale di Bartleby, l’avvocato, né gli impiegati dello studio se ne servono abitualmente (“una strana parola; per quanto mi riguarda non la uso mai…”). La formula ordinaria sarebbe piuttosto I’d rather not. Ma soprattutto, la stravaganza della formula va al di là della parola stessa: certo, è grammaticalmente corretta, sintatticamente corretta, ma la sua brusca conclusione, NOT TO, che lascia indeterminato ciò che rifiuta, le conferisce un carattere radicale, una specie di funzione-limite. La sua ripresa e la sua insistenza la rendono complessivamente ancor più insolita.” (G. Deleuze, Bartleby o la formula, in Id., Critica e clinica, tr. it di A. Panaro, Cortina, Milano 1996, p.93)
“La formula è devastante perché elimina altrettanto impietosamente il preferibile e qualsiasi non-preferito.” ( Ivi, p.96)