Vorrei parlarvi di Aesthetica in nuce (1929) di Benedetto Croce. In esso, riprendendo le tesi sul carattere lirico dell’intuizione e sul carattere di totalità dell’espressione artistica, Croce chiarì che la poesia, se non determina verità etiche, pure si nutre essenzialmente di moralità, perché riflette la personalità umana nella sua interezza. Anzi, quanto più grande è la personalità dell’autore, tanto più convincenti saranno i risultati poetici cui egli perviene. Entro questi termini, secondo Croce, va inteso il rapporto di condizionamento reciproco che intercorre fra poesia e storia.
Montale ha cercato in qualche modo di giustificare, in un saggio assai penetrante, questi motivi basilari:
«Che cosa Croce chiedeva al poeta? Direi che chiedesse in lui il carattere; e il carattere poteva manifestarsi come fedeltà ai propri motivi, dono, capacità di non lasciarsi corrompere da ragioni estranee alla letteratura. […] Si direbbe che il Croce abbia amato quei poeti che avrebbe amato come uomini, se li avesse conosciuti; siano essi l’olimpico Goethe o il cattolico e sedicente reazionario Balzac, o il miracoloso Nievo o il robusto e sanguigno Carducci, ultimo alfiere di una poesia che voleva rifare l’uomo.» (1)
(1) «La lezione di Croce», in Il Mondo, 11 dicembre 1962
f.s.
[edizione letta: Benedetto Croce, Aesthetica in nuce, è in FILOSOFIA- POESIA- STORIA. Pagine tratte da tutte le opere a cura dell’autore stesso, Biblioteca Treccani, 2006, pp.195-223]